Felici e produttivi: Il potere della collaborazione per il benessere dei dipendenti e la crescita aziendale

La fidelizzazione dei dipendenti è la sfida che ogni azienda è chiamata, ormai da tempo, ad affrontare ed il cui risultato è in grado incredibilmente di far vincere o perdere contemporaneamente entrambi gli attori protagonisti: infatti, come insegna la teoria dei giochi, non siamo nella fattispecie di un gioco a somma zero, ovvero di un processo in cui le vincite accumulate di tutti i partecipanti sono uguali alla somma delle perdite, ma piuttosto in quella nella quale attraverso uno spirito cooperativo e di collaborazione si punta ad un win-win: ed ecco che, questa capacità di trattenere le risorse umane al proprio interno, permettendogli un valore aggiunto di prospettive e crescita, passa attraverso un inevitabile cambiamento culturale da parte degli imprenditori e degli stessi dipendenti.
Le organizzazioni sono fatte di persone. Non a caso tutte le tecniche di miglioramento continuo si basano sulla partecipazione attiva delle risorse.
Siamo convinti assertori che lavorare in modalità condivisa apporta benefici all’intero di ogni azienda, perché integrando le pluralità di talenti e di capacità dei singoli si possono accorciare tempi di lavori, elaborare nuove idee, migliorare la capacità di ascolto e di comunicazione e stringere nuovi contatti.
Secondo alcune teorie che si stanno sempre più affermando, anche da un punto di vista squisitamente egoistico e individualista, che non è altro che la caratteristica della società attuale, lavorare vuol dire collaborare, ed in quest’ottica, persino chi ha un modus operandi più individualista rispetto al lavoro che abitualmente svolge, trova comunque incentivi personali nella collaborazione.

E là dove, la proprietà ed il management, sia riuscita a creare un ambiente di lavoro motivante, si otterranno, di conseguenza, risultati maggiori in termini di produttività, qualità dei prodotti/servizi erogati, attenzione ai clienti e rispetto dei requisiti obbligatori in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Va anche detto che i cambiamenti fortemente impattanti sulle nostre esistenze si sono sempre verificati da quando esiste l’uomo, ma è stata soprattutto la pandemia ad aver accelerato la trasformazione, concretizzandosi in fenomeni quali le Grandi dimissioni, la diffusione dello Smart working ed il precariato.
Ed è proprio da questa consapevolezza che si fa sempre più forte il bisogno di trovare altre leve per tenere insieme i pezzi ed in questo la collaborazione può essere la chiave strategica del futuro del lavoro.

Condivisa tra la proprietà, il management ed dipendenti la necessità di collaborare, il passo successivo è quello di passare dalla teoria alla pratica e per farlo servono strumenti, come il feedback non contaminato da elementi emozionali, la capacità di negoziazione, e soprattutto la strategia di coinvolgimento dei lavoratori, che passa attraverso quattro fasi: gestire il conflitto; stimolare le abilità individuali innate in ogni essere umano (E magari non conosciute), ottimizzare l’utilizzo della risorsa “tempo” e saper scegliere gli strumenti adeguati: solo attraverso queste dinamiche si può costruire o un gruppo unito, tale da essere in grado di prendersi cura dei propri membri, facendo sì che i singoli lavoratori possono vivere meglio l’ambiente lavorativo e raggiungere, insieme, traguardi ambiziosi.

Soft Skills per il futuro: Investire nel capitale umano attraverso la formazione

Il tema che si intende affrontare riguarda una nuova forma di Welfare, attento non tanto ai benefici fiscali che tale strumento generà (Oggi l’imprenditore è particolarmente sollecitato da questo aspetto, perdendosi tanto altro) ma a creare un percorso formativo che accresca le competenze relativamente alle Soft Skills (O abilità personali, o competenze trasversali), posto che oggi contano più delle hard skill, legate prevalentemente ai titoli di studio!

I punti salienti potrebbero essere i seguenti:

  • fotografia individuale rispetto alle risorse che compongono la popolazione aziendale;
  • definizione dei divari (Gap!) rispetto agli obiettivi che si intendono raggiungere;
  • definizione del Progetto Formativo personalizzato attraverso il quale colmare i divari;
  • contestualmente al punto precedente, costruzione di un sistema premiale che gratifichi le risorse che hanno colmato i divari!

In quest’ottica ci sono alcuni aspetti che meritano una grande attenzione: l’attività indicata al punto a) necessità, ad esempio, di strumenti oggettivi “di misurazione” che tengano conto delle diverse attitudini relativamente alle risorse che popolano l’azienda; inoltre, sviluppate le attività indicate ai punti b) e c) nasce l’esigenza di un altro strumento oggettivo, in virtù del quale poter certificare il fatto che le competenze mancanti siano state acquisite proprio grazie ad un progetto formativo costruito ad hoc!
Oggi, diversamente, l’approccio è il seguente: si parte dall’analisi del fabbisogno formativo si arriva alla progettazione di Piani formativi aziendali, al fine di ottenere delle risorse messe a disposizione, ad esempio, dai Fondi Interprofessionali, della serie “creiamo un meccanismo che ci permetta di finanziare il progetto”, oppure, nel caso del Welfare, il fine è la defiscalizzazione: ma le competenze, la crescita personale, le soft skills dove sono andate a finire? La nostra visione è completamente diversa: la progettazione di Piani formativi ha un carattere strategico per le aziende. Non basta, infatti, la volontà di erogare formazione ai propri dipendenti: occorre capire quale tipo di formazione può influire positivamente, tanto sulla crescita dei lavoratori, quanto sulla competitività dell’intera azienda.
La formazione ricopre infatti una valenza decisiva solo quando coglie le esigenze dell’impresa, le richieste del mercato di riferimento, il fabbisogno dei lavoratori che ad oggi si è fortemente spostato proprio sulle Soft Skills!
Il percorso ideale per progettare un Piano formativo aziendale deve pertanto prevedere le seguenti fasi:

  1. analisi del fabbisogno formativo dell’impresa ricorrendo a strumenti oggettivi;
  2. definizione dei divari per ogni soft skill;
  3. predisposizione del Piano formativo e del Piano carriera (Cresco nelle competenze e cresco a livello di carriera e retribuzione: come ti ho accennato ho già contratti di lavoro che sostituiscono lo scatto di anzianità con lo scatto di merito);
  4. definizione di MBO legati alla acquisizione delle competenze (Collegamento al Welfare);
  5. individuazione della linea di finanziamento più opportuna;
  6. certificazione delle competenze acquisite.

Crediamo che in tutto ciò e nella volontà di poter creare un Modello di Relazioni Industriali veramente innovativo.

Lavoratori stagionali: Una guida completa alla disciplina normativa e alle tutele

Ai sensi dell’art. 21, comma 2, del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, le attività stagionali sono quelle individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, nonché le ipotesi individuate dai contratti collettivi.
Attualmente, l’elenco delle attività stagionali è contenuto nel Decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, oltre alle ulteriori ipotesi previste dalla contrattazione collettiva.
Peraltro, sulla disciplina dei contratti a termine nelle ipotesi di stagionalità previste dalla contrattazione collettiva è possibile consultare i chiarimenti resi dall’INL con nota n. 413 del 10 marzo 2021.

La disciplina del lavoro stagionale si rinviene in diverse fonti normative.
In primo luogo, sono contemplate delle deroghe rispetto a quella dettata per il contratto a tempo determinato.
Infatti, le disposizioni in tema di proroghe o rinnovi del contratto a termine non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali (art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015).
Anche le previsioni relative al limite numerico previsto per le assunzioni a tempo determinato non si applicano alle attività stagionali (art. 23, comma 2, lett. c, D.Lgs. n. 81/2015).

Inoltre, il lavoratore assunto a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali (art. 24, comma 3).
Nell’ambito della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, posto che procedure ed obblighi differiscono in base alle dimensioni aziendali, ai fini della determinazione delle dimensioni occupazionali (art. 4, D.Lgs. n. 81/2008) è necessario considerare tutti i lavoratori in forza, compresi i lavoratori stagionali (D.P.R. n. 1525/1963), a prescindere dalla durata del contratto e dall’orario di lavoro svolto.
Nei casi di licenziamento collettivo, poi, la procedura per la dichiarazione di mobilità non trova applicazione nel corso di eccedenze determinate da fine lavoro nelle attività stagionali (art. 4, comma 14, L. n. 223/1991).
In tema di tutela della maternità, durante il periodo di congedo, la lavoratrice ha diritto a un’indennità a carico dell’INPS e, per quanto attiene ai lavoratori assunti a tempo determinato per lavori stagionali, è l’Ente previdenziale a versare direttamente alle lavoratrici tale indennità (art. 1, comma 6, D.L. n. 663/1979 convertito con modificazioni in L. n. 33/1980)

Con riferimento all’attività stagionale dei lavoratori extra UE consulta la pagina dedicata.
Da ultimo, si segnala che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha aderito alla campagna europea “Rights for all seasons” per i diritti dei lavoratori stagionali transfrontalieri, promossa dall’Autorità Europea del Lavoro (European Labour Authority – ELA), volta a tutelare il lavoro stagionale e sensibilizzare i cittadini dell’Unione Europea sui diritti e sugli obblighi di tali lavoratori.